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TIPOLOGIA FUNZIONALE: specializzata: Storia e cultura ovadese (945.14).

 

ORARIO DI APERTURA: sabato, domenica dalle ore 10,00 alle ore 12,00.

 

ACCESSO: apertura su appuntamento ai Soci e a tutti coloro che intendono effettuare ricerche di storia locale.

 

SERVIZI: informazioni bibliografiche: servizio interno, servizio esterno; riproduzioni: fotocopie.

 

PATRIMONIO LIBRARIO: manoscritti n.q. (autografi n.q., carteggi n.q., statuti n.q.); volumi ed opuscoli 10000; periodici 50 (correnti 50).

 

FONDI SPECIALI: Fondo Rocca Grimalda: documenti manoscritti; Fondo Carlo Barletti: lettere manoscritte ai familiari; Fondo Ambrogio Pesce Maineri: appunti manoscritti raccolti in cinquant'anni di studio; Fondo Giancarlo Subrero: articoli, opuscoli, libri su Rocca Grimalda; Fondo miscellaneo: statuti manoscritti di Ovada e Rossiglione.

 

CATALOGHI: topografico (on line); autore (on line); sistematico (on line); titoli (on line).

 

SPOGLI DI MATERIALE BIBLIOGRAFICO: periodici: storia locale.

 

BIBLIOTECA SOCIALE E ARCHIVIO STORICO “MONFERRATO”: periodici, libri, opuscoli, emeroteca, fototeca, monografie.

 

COMUNICAZIONI: Il materiale librario della biblioteca, raccolto dal 1956, è stato riordinato a partire dal 1986. Il prestito è riservato ai soli soci eccetto le pubblicazioni edite prima del 1910.

Pubblica la rivista Urbs - Silva et Flumen e la collana delle nuove Memorie dell'Accademia Urbense.

 

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Quadreria dell'Accademia Urbense "Nino Natale Proto"
(tratto dal Supplemento di URBS, Anno XX - N°3)

Introduzione alla Quadreria, di Remo Alloisio:

La mostra allestita, col patrocinio del Comune di Ovada, nel pieno centro storico della città, la Loggia San Sebastiano, celebra un evento: i cinquant’anni di fondazione dell’Accademia Urbense.
Il 1 dicembre 1957, a Ovada, in casa del dottor Eraldo Ighina si riunì un gruppo di amici per istituire un Circolo Artistico-Culturale che prese il nome di Accademia Urbense, conformemente all’Accademia Urbense fondata nel 1783 da Ignazio Benedetto Buffa.
Tentare un racconto dell’attività cinquantennale svolta dall’Accademia è l’intenzione di questa mostra che coinvolge non solo Ovada ma anche paesi vicini e aree di omogeneità culturale e storica. Attività sostenuta da un parallelo e intenso lavoro editoriale, in primo luogo con l’apprezzata rivista “Urbs” e poi con le numerose opere di carattere storico, scientifico, artistico e letterario edite dall’Istituzione ovadese.
La mostra è, quindi, un’ottima occasione per riflettere sulla nostra eredità culturale che non deve essere passivamente conservata ma da tutti vissuta col desiderio di conoscerla, il piacere di usarla e perfezionarla con le opportunità del presente.
L’Art. 2 dello Statuto dell’Accademia elenca alcuni punti e una lunga serie di paragrafi (a-g) che rappresentano l’insieme delle norme fondamentali della nostra attività. Utopia, coraggio, passione, sono componenti essenziali per aiutare il nostro Paese a essere sempre più civile e sempre più consapevole del suo territorio, della sua storia, delle sue antiche tradizioni.
In questi tempi di discussione sul patrimonio culturale, emerge il concetto di “ Patrimonio latente” che non è meno interessante e prezioso del patrimonio evidente. Scrive Salvatore Settis : “Patrimonio latente” è quello che abbiamo senza sapere di averlo: sono immobili più volte rimaneggiati che celano in una sala le colonne di un chiostro, sotto un intonaco preziosi affreschi ; sono quadri che a un occhio più vigile, a un riscontro inventariale, a un attento restauro rivelano la mano di un grande pittore. Sono monumenti e oggetti di ogni sorta, dimenticati o in deposito, che solo dopo una precisa classificazione trovano il loro giusto valore. In tutti questi casi (e in Italia accade ogni giorno), l’indagine conoscitiva non ha solo un valore scientifico e culturale, ma anche una ricaduta economica immediata che sarebbe stolto e colpevole ignorare”.
Si trovano dunque, in chiese, castelli e case private, frammenti di un passato che si può ancora recuperare, conoscere, visitare.
Personalmente, a conferma di quanto asserisce Settis, ricordo l’attribuzione a Domenico Fiasella (il Sarzana) della Crocifissione, pala dell’altare di San Defendente nella parrocchiale di Belforte Monferrato. La straordinaria avventura che ho vissuto e condiviso con il compianto amico Franco Resecco è raccontata nel n° 2 di aprile-giugno 1988 della nostra rivista “Urbs”. L’attribuzione della Crocifissione al Sarzana venne, in seguito, confermata dal prof. Franco Renzo Pesenti, studioso ed esperto della pittura ligure del Seicento.
Riconosciuta l’importanza del patrimonio latente accanto a quello visibile, è vitale intendere il ruolo della ricerca, l’acquisizione di conoscenze che comporta, e dare il debito riconoscimento istituzionale e di bilancio alle strutture di tutela fortemente legate al territorio. La tutela, infatti, non è esercizio di passivo servizio di custodia e sorveglianza, ma è finalizzata (lo dice la Costituzione) alla ricerca e alla fruizione da parte dei cittadini.
Nella sede di Piazza Cereseto, accanto alla consistenza dei beni patrimoniali culturali, storici, documentari, librari e archivistici, che sono la migliore eredità del passato, vi sono beni artistici frutto di donazioni e acquisizioni avvenute nel tempo. Sono dipinti, disegni, opere grafiche e sculture, diversi tra loro, per situazione cronologica, per cultura, per interessi e individualità stilistica. Tutti beni di una certa importanza che, per ovvie ragioni, vengono presentati in questa rassegna in numero limitato.
Le opere presenti sono formalizzate in schede, che costituiscono l’esempio di un futuro censimento di tutto il materiale artistico dell’Accademia certamente degno di un corretto ordine anagrafico.

Opere:

Michele Oddini, Ovada verso la metà del secolo XIX

Apre la selezione l’opera di Michele Oddini Ovada verso la metà del secolo XIX, olio su tela di cm. 85 x 110. La copertina della rivista “Urbs” del n° 1 di gennaio-marzo 1988 riproduce il quadro e nel numero successivo di “Urbs”, in un suo articolo, Giorgio Oddini riferendosi al dipinto scrive : “Esso è particolarmente interessante perché mostra ancora la torre del Castello, che fu demolita nel 1855 e la Chiesa Parrocchiale con un solo campanile (quello con l’orologio fu infatti costruito a spese del Comune solo nel 1853). Compare nel quadro il Campanile dell’Oratorio di San Giovanni, che era stato costruito nel 1835-36 su disegno dell’ing. Antonio Borgatta e non compare invece quello dell’Oratorio dell’Annunziata che fu costruito nel 1861 proprio su progetto dello stesso ing.Michele Oddini”. Michele Oddini nacque ad Ovada il 12 febbraio 1826. Laureato in ingegneria all’Università di Genova, si stabilì nel capoluogo ligure mantenendo continui rapporti con Ovada, dove risiedevano i suoi genitori. Nel 1853 fondò la “Società per lo studio della ferrovia Novi-Ovada” che venne realizzata nel 1881. Intensa fu l’attività professionale di Michele Oddini, svolta ad Ovada e dintorni, in particolare ricordo il progetto e la costruzione della Cappelletta di Tagliolo, per i marchesi Pinelli Gentile e intitolata a Santa Maria delle Grazie. Nel 1862 Michele successe al fratello, avvocato Carlo, nella carica di sindaco di Ovada, impegno che mantenne per vent’anni. Lasciato l’incarico di sindaco nel 1882, dedicò la maggior parte del suo tempo alla pittura, sua grande passione. Fu anche abile acquerellista e affreschista. Morì in Ovada il 3 gennaio 1893. Il Comune di Ovada gli intitolò una strada il “Lungo Stura Michele Oddini”. Il quadro esposto proviene dalla famiglia dell’arch. Giorgio Oddini, Presidente onorario del nostro sodalizio; acquistato e fatto restaurare da Natale Proto.

Ignazio Tosi, San Paolo della Croce

Stabilmente collocato nella sala delle riunioni dell’Accademia si trova il quadro ad olio di cm.100X75 dipinto da Ignazio Tosi, raffigurante San Paolo della Croce nell’atto di vergare le “Regole” della Congregazione dei Passionisti da lui fondata e approvata da Benedetto XIV nel XVIII secolo. La solitudine e l’apostolato sono essenziali e compongono la polarità dell’originale carisma passionista. Votato alla vita contemplativa, San Paolo della Croce fu un grande mistico che poneva la Passione di Cristo al centro della sua spiritualità. La penitenza, la preghiera e la predicazione del fondatore dei Passionisti, acquistano un particolare significato non solo nel contesto del XVIII secolo ma anche nel mondo moderno, al quale manda un messaggio indelebile e operativo: ”Solo la Passione converte. L’amore converte”. Paolo Francesco Danei, proclamato santo da Pio IX nel 1867, primogenito di una famiglia numerosa, nacque ad Ovada il 3 gennaio 1694 da Anna Maria Massari e Luchino Danei. La casa natale del Santo, situata nella via omonima di fronte alla bella piazza San Domenico, oggi è museo visitabile. Il pittore Ignazio Tosi, nato ad Ovada nel 1811, dipinse molti altri quadri del fondatore della Congregazione dei Passionisti; ne ricordo uno in particolare, posto sopra l’altare dedicato a San Paolo della Croce, nella chiesa di N.S. Assunta in Ovada. Iniziato alla pittura da Tommaso Cereseto, allievo di Carlo Baratta, Tosi frequentò per 9 anni i corsi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Il lungo tirocinio all’Accademia gli permise di diventare valente ritrattista ed esecutore fedele di copie da Tiziano, Rubens e altri antichi maestri. L’arte di Tosi si pone tra il clima di tradizione tardo-barocca ligure e gli impulsi romani (soggiornò a Roma per sei mesi) di rigorismo pre-neoclassico. Negli anni 1841-42 affrescò le volte della chiesa dell’Annunziata in Ovada con la “Pentecoste” e l’”Adorazione dei Magi”. Ignazio Tosi dipinse pale d’altare, stendardi per chiese e molti ritratti, fedele fino alla morte, avvenuta nel 1861 a soli 50 anni, ad una forma estetica che era anche impegno morale.

Costantino Frixione, Sacerdote Francesco Nervi e Marchese Giacomo Spinola

Eseguiti dal pittore Costantino Frixione (Ovada 1828-1902) sono i due ritratti a pastello, il più grande dei quali misura cm.57X47 e ritrae il Sacerdote Francesco Nervi (1825-1876), valente predicatore e collaboratore di Don Tito Borgatta, segretario della comunità parrocchiale e cappellano di Nostra Signora della Provvidenza. L’altro misura cm. 50X35 ed è il ritratto del marchese Giacomo Spinola che nel 1826, per compiere la volontà della zia marchesa Giulia Fieschi Spinola, fondò in Ovada la Casa delle Madri Pie. Giacomo Spinola fu Ciambellano di Sua Maestà, Commendatore degli ordini dei Santi Maurizio e Lazzaro e del pontificio San Gregorio Magno. Costantino Frixione fu un originale personaggio, molto sensibile e dotato di spiccate qualità artistiche. Allievo di Tommaso Cereseto, dipinse oli su tela e “a fresco”, quadri di santi e numerosi ritratti in cui l’idea del disegno prevale sul colore. Il tono delicato dei due dipinti in esame si esalta nella equilibrata disposizione degli accordi cromatici, nell’alternarsi sapiente dei vari colori presenti nei due volti ritratti. Il Frixione fu anche valido scultore e sollecitato dal maestro Santo Varni, soggiornò per brevi periodi di studio a Roma, Firenze e Genova. Non volle però mai abbandonare il suo paese perché riteneva che lo tenesse al riparo dall’avidità e dall’ambizione. Dal 1899 al 1901 pubblicò sul “Corriere delle Valli Stura ed Orba” quei “Medaglioni ovadesi” ,profili di uomini illustri che gli valsero l’appellativo di Plutarco ovadese.

Nicolò Barabino, Madonna dell'Olivo

Di Nicolò Barabino (Sampierdarena-Genova 1832- Firenze 1891) viene presentato il bozzetto per la Madonna dell’Olivo, tela che nel 1887 fu esposta alla Mostra Nazionale di Belle Arti di Venezia. L’opera compiuta raffigurava la Madonna contornata da rami d’ulivo con il titolo :”Quasi Oliva Speciosa in campis” ispirato al versetto biblico dell’Ecclesiastico (14,14) e alle Litanie Mariane. Allievo, all’Accademia Ligustica di Genova, di Giuseppe Isola e vincitore del pensionato Durazzo nel 1857, Nicolò Barabino si stabilì a Firenze insieme ai colleghi Semino e Castagnola e allo scultore Augusto Rivalta. A Firenze frequentò il gruppo degli artisti del Caffè Michelangelo, un ambiente culturale complesso e ricco di fermenti intellettuali. Per Nicolò Barabino, però, furono più che altro gli artisti del Quattrocento e del Cinquecento fiorentino i modelli sui quali esercitò il proprio affinamento tecnico e culturale. Più tardi completò la sua formazione a Roma e Venezia. Nel 1880, recatosi a Parigi, lo attrasse la pittura di Meissonier e quella di Alma Tadema. I soggetti storici e religiosi furono i prediletti dal Barabino, che li trattò in grandi affreschi e in quadri ad olio ricchi di colore e di indubbia capacità disegnativa. Negli affreschi affiorano reminiscenze scenografiche del Tiepolo e dei Settecentisti, particolarmente visibili nelle seguenti opere: Pier Capponi, Galileo deriso, Vespri Siciliani, al Palazzo Celesia di Genova; Archimede, Volta, Colombo deriso, Galileo in Arcetri al Palazzo Orsini. Decoratore di Chiese e Santuari, eseguì i cartoni per le lunette a mosaico della nuova facciata di Santa Maria del Fiore in Firenze. Sue opere si trovano nelle più importanti Gallerie d’Arte pubbliche italiane. Evidente è il divario tra i bozzetti del Barabino e le sue opere finite. Nel presente bozzetto dell’artista sampierdarenese c’è, sia la libertà da ogni condizionamento di natura agiografico-religiosa, sia la libertà nella stesura del colore che viene usato strutturalmente, senza alcun impianto disegnativo, alla maniera dei suoi amici macchiaioli.

Ezio Parrini, Autoritratto

Del pittore Ezio Parrini, vincitore nel 1957 del primo premio Citta’ di Ovada, l’Accademia Urbense custodisce l’Autoritratto, olio di cm. 68x48, datato 1940. Nato a Milano il 12 luglio 1906 il Parrini frequentò da ragazzo i primi corsi della scuola d’Arte di Brera. Raggiunta la maggiore età, abbandonato l’impiego in banca, cui l’aveva costretto la famiglia, si recò a Firenze dove frequentò la scuola di Nudo dell’Accademia e, soprattutto, assimilò la lezione dei grandi maestri durante le frequenti visite nelle Gallerie e nei Musei fiorentini. Nemico di ogni tipo di moda e di qualsiasi forma di “ismo” (l’autoritratto ne è un tipico esempio) si dedicò anche alla pittura murale e al restauro, tecniche perfezionate sotto la guida del pittore Ezio Giovannazzi. Nel 1928 espose alla Prima Mostra Regionale d’Arte Toscana e in seguito a varie mostre della Società per le Belle Arti di Firenze. Dal 1932 visse a Milano e partecipò a collettive e tenne diverse personali. Sue opere sono presenti in raccolte private italiane e statunitensi.

Natale Proto, Autoritratto

Dipingere un autoritratto può dipendere da una scelta che va ben oltre la determinazione del gusto e del puro esercizio plastico. L’Autoritratto del 1958 di Natale Proto, tecnica mista di cm. 50X75, può essere definito di tipo “fisiognomico” in cui l’immagine riveste un carattere psicologico , complicazioni simboliche e morali, inserita com’è, in una composizione che definisce la connotazione professionale dell’autore. A Natale Proto, uno dei soci fondatori nel 1957 dell’Accademia Urbense, va riconosciuta una forte personalità e va ricordato il ruolo attivo esercitato nel sodalizio ovadese, nel quale profuse energie e vis polemica nel sostenere le iniziative rivolte principalmente all’organizzazione di mostre e di concorsi di pittura. Mai domo, sempre animato da nuove linfe vitali e slanci generosi N. Proto fu espressione di stimolo e di fervore nel panorama culturale ovadese del novecento. Nato in Ovada il 18 dicembre 1908 da Carlo e Atonia Lantero, morì il 30 settembre 1997, nella sua casa di via Carducci, pochi giorni prima dell’apertura della mostra antologica che si doveva inaugurare il 3 ottobre 1997 nei locali dell’Accademia Urbense in riconoscimento della sua intensa attività artistica. La sua biografia è fitta di date importanti, a partire dal 1929, quando ventunenne, espletato il servizio militare iniziò la professione di decoratore di facciate e interni di edifici. Nel 1931 si trasferì a Genova-Bolzaneto ospite del fratello Angelo. Nella città ligure strinse amicizia con i pittori Giovanni Grifo e Lazzaro Luxardo. Negli anni 1932-1934 collaborò con lo scultore Riccardo Gaione all’allestimento scenografico per le feste vendemmiali di Ovada. Fu nei primi anni cinquanta che ebbe inizio la feconda amicizia con Alberto Helios Gagliardo, insigne pittore e incisore genovese. La loro amicizia documentata da un nutrito epistolario attualmente conservato dall’Accademia Urbense, si protrasse fino agli anni ottanta. Del rapporto tra i due artisti si è diffusamente trattato nel catalogo della mostra “Alberto Helios Gagliardo-Opere della collezione Proto” svoltasi in Ovada alla Loggia San Sebastiano dal 27 settembre al 1 novembre 2003. Nel secondo dopoguerra Natale Proto fu con intelligente passione e coerente tenacia promotore e organizzatore di mostre importanti tra cui quella sul Paesaggio o figurazione che abbiano attinenza col folclore, la vita, la gente, la storia del Monferrato presentata nel 1967, nel salone dell’asilo “Coniugi Ferrando”. Partecipò nel 1971 alla “Mostra di pittori ovadesi” a Genova nel palazzo Cattaneo Mallone presso la Galleria Liguria, e negli anni seguenti organizzò in Ovada anche rassegne di carattere documentario. L’Accademia Urbense, col suo Presidente prof. Alessandro Laguzzi e il Consiglio Direttivo, riconoscendo il costante impegno dedicato da Natale Proto durante la sua vita, gli è particolarmente grata per averla designata erede del suo patrimonio.

Fausto Bima, Autoritratto

Mentre osservavo con intenso interesse la serie di autoritratti della Pinacoteca dell’Accademia Urbense, fui attratto dal volto di Fausto Bima. Quello sguardo e quella pittura dai contorni nitidi, suscitarono un incredibile insieme di ricordi e sensazioni, archiviati nella mia memoria dalla lontana giovinezza, legati al periodo inquieto del secondo dopoguerra e all’amicizia e all’affinità ideale tra Bima e mio padre. Dell’Autoritratto di cm. 45X35, firmato Bima in alto a destra, emergono lo sguardo acuto e l’impostazione del viso lievemente voltato di tre quarti, il rifiuto di ogni calligrafismo, tranne l’insolito e vistoso colletto bianco. Fausto Bima fu un personaggio singolare che considerava Ovada “come una seconda città natale”. Nel suo libro “La città di Ascanio” edito a Roma nel 1963 e in altri accurati saggi pubblicati sulla rivista “La Provincia di Alessandria” e la “Rivista di Storia, Arte e Archeologia per le Provincie di Alessandria e Asti”, scrisse ampiamente su Ovada. Fu amico intimo del fratello di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, illustre pittore e scrittore, che lo ritrasse con una folta barba in un curioso ritratto a matita, oggi in una collezione privata modenese. Nel foglio, in alto a sinistra si legge una dedica: “Al mio caro Fausto Bima, il longevo, il suo Alberto Savinio, Roma ottobre 1948”.

Tullio Salvatore e Antonio Orazio Quinzio, Signora con ventaglio e Autoritratto

Spiccate sono le diversità stilistiche delle due opere dei fratelli Tullio Salvatore e Antonio Orazio Quinzio, determinate anche dalle differenti tecniche usate. Da una parte l’elegante figura della Signora con ventaglio, acquarello di cm. 45x26 di Tullio Salvatore Quinzio (1858-1918), permeata dall’atmosfera liberty dell’insieme, nel panneggio morbido dell’abito, nell’ornamento e acconciatura della dama, nella delicatezza dei colori. Dall’altra si percepisce il forte temperamento di Antonio Orazio Quinzio (1856-1928), che nell’ Autoritratto, olio di cm. 50x35, tratta la tela con pennellate dense di colore ottenendo effetti di rilievo plastico che rivelano la sua attività di scultore. Molte furono le analogie nel percorso artistico dei due fratelli. Entrambi furono iniziati all’affresco dal padre Giovanni docente all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Ambedue, vincitori di prestigiosi “Pensionati”, perfezionarono i loro studi a Firenze e Roma e furono, poi, insegnanti all’Accademia Ligustica dal 1894 al 1906. Di Tullio Salvatore Quinzio si trovano affreschi nella chiesa di S.M. Immacolata di Genova e in molte chiese della riviera ligure. Tra i suoi molti lavori si segnala: Signora in verde, Ciociara, Uomo con feluca, che furono esposti nella importante mostra della Pittura dell’Ottocento che si tenne a Genova nel 1926. Alcune sue opere sono esposte nella Galleria di Palazzo Rosso a Genova. Anche Antonio Orazio Quinzio dipinse “a-fresco” in chiese ed edifici pubblici e privati di Genova, Roma e Buenos Aires. Dal 1919 fino alla sua morte diresse le Gallerie Brignole-Sale di Palazzo Bianco e Palazzo Rosso di Genova. Fu anche abile scultore, tanto che una sua pregevole scultura venne esposta nel 1934 alla Biennale di Venezia.

Cesare Viazzi, Autoritratto

Cesare Viazzi, nato ad Alessandria il 15 giugno 1857, si formò all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di illustri maestri quali Andrea Gastaldi e Antonio Fontanesi, poi si perfezionò a Roma e quindi a Genova, città in cui si stabilì nel 1893 ottenendo la cattedra di “Figura” all’Accademia Ligustica di Belle Arti (1894-1899). La piena attività artistica del Viazzi iniziò a partire dal 1881, quando esordì alla Promotrice di Torino e continuò negli anni successivi all’Esposizione Nazionale di Venezia (1887), a quella di Bologna (1888) e alle Promotrici genovesi cui partecipò regolarmente dal 1884. Artista ricettivo e sensibile, interprete delle istanze culturali del tempo, fu assiduo frequentatore del Cenacolo del Caffè del Teatro Carlo Felice e membro della Famiglia Artistica Genovese, legato da amicizia con artisti quali G. Pennasilico, A. Figari. G. Meineri. Fu nominato Accademico di merito alla Ligustica, classe pittura, nel 1888. Il critico Germano Beringheli di lui scrive: “La sua fama resta legata ai grandi quadri di figura che rappresentano scene mitologiche e composizioni del teatro lirico; particolarmente riusciti i nudi femminili, che costituiscono oggetto privilegiato dei suoi studi”. Si dedicò inoltre ad altri soggetti quali la marina, il paesaggio, gli animali e la figura, secondo le norme del “verismo”, corrente affermatesi in Italia alla fine del XIX secolo, in consonanza col “naturalismo francese” che prediligeva la rappresentazione di soggetti dalla vita reale. Nel 1906 C. Viazzi abbandonò la cattedra di “Figura” all’Accademia Ligustica e nel 1914 interruppe, sorprendentemente, l’attività artistica ufficiale, dedicandosi al collezionismo e all’antiquariato. L’Autoritratto dell’Accademia Urbense, olio di cm.50x35, simile a quello pubblicato nell’edizione 1962 del “Comanducci”, dipinto secondo la tradizione, tende a rivestire un carattere psicologico. La forma sicura e obiettiva, è costruita su toni freddi e tinte cupe che denotano l’estraneità dell’autore ad ogni forma che rifiuti la tradizione. Il Comune di Predosa intitolò a Cesare Viazzi la via in cui si trova la casa del pittore. Una lapide ne ricorda l’opera e la morte, avvenuta in quel luogo il 27 aprile 1943.

Antonio Mancini, Figura femminile

Il disegno a carboncino Figura femminile di cm. 31x24 di Antonio Mancini, per l’espressività, per le parti chiaroscurali e per il vigore del segno, coerente con l’anima inquieta e con la poetica dell’artista, può essere collocabile nella corrente estetica dell’Impressionismo. Antonio Mancini (Albano Laziale 1852-Roma 1930) occupa una posizione di rilievo nel contesto artistico post-impressionista e negli anni della prima metà del Novecento. “Enfant prodige”, eseguì, appena sedicenne Scugnizzo con cesta appesa ad una corda, un’opera matura e originale che denota le sue innate capacità artistiche. Avviato, nel 1864 all’Istituto di Belle Arti di Napoli, vi rimase per nove anni, allievo, in un primo momento di Raffaele Postiglione e poi di Domenico Morelli. Di quegli anni si ricorda il Prevetariello, primo capolavoro di stupefacente penetrazione psicologica. Questa ed altre opere attirarono l’attenzione della critica, tanto che nel 1872 fu invitato ad esporre due suoi quadri al Salon parigino. I suoi frequenti viaggi lo portarono a Venezia, dove studiò i maestri del Cinquecento e nel 1874 a Milano, sempre per motivi di studio e di approfondimento. Nel 1876 soggiornò a Parigi per un anno, studiando gli impressionisti e lavorando per il mercante d’arte Goupil. Tornato in Italia conobbe lo scultore Vincenzo Gemito col quale strinse una fraterna amicizia. Nel 1901 si recò in Olanda per riscoprire la pittura fiamminga e successivamente andò a Londra e Dublino. Continuò a lavorare con intensità su opere dal colore più denso e materico, applicando sulla tela frammenti di vetro, stagnola dorata o argentata, strisce di stoffa, al fine di ottenere speciali effetti cromatici e luminosi. La produzione di Antonio Mancini fu vasta; in essa si possono individuare fasi distinte, secondo uno sviluppo costante di un percorso dinamico, caratterizzato da una energia sempre più vigorosa nel trattare il colore. Partecipò alla Biennale di Venezia del 1914 e a quella del 1920 ed espose al Castello Sforzesco di Milano nel 1928. L’anno seguente fu nominato Accademico d’Italia. Molti suoi lavori figurano nelle principali Pinacoteche italiane e nei più importanti musei stranieri.

Franco Resecco, Ritratto del poeta Colombo Gaione

Il professor Emilio Costa nella presentazione dell’esauriente testo sulla poesia dialettale di Colombo Gaione, Antologia ovadese- poesia e canzoni scelte edito dall’Accademia Urbense nel 1963, scrive : “Il motivo vitale del suo canto è la realtà degli affetti umani sollevati in una sfera di sogno… Poesia di paesaggi, di profili, che nei suoi aspetti dionisiaci racchiude il senso e il godimento del reale”. Da queste acute osservazioni riusciamo a comprendere perché oggi il pensiero linguistico tende a rivalutare l’importanza della lingua dialettale nella genesi delle strutture mentali, culturali ed etniche di una comunità. Ogni lingua corrisponde ad una organizzazione particolare dei dati dell’esperienza. L’acquisizione di un dialetto e quindi di una lingua, presuppone la familiarizzazione con un nuovo sistema semantico e, di riflesso, con un nuovo modo di pensare e di sentire. Ciascuno è legato, in certa misura, alla sua lingua materna. Piacevole, oltrechè istruttivo è rileggere quel concentrato di saggezza che sono le poesie di Gaione su Niappe, in cui vengono rievocati episodi di vita vissuta di questo contadino-filosofo, di indole semplice e buona. Esilarante è l’avventura di Niappe descritta nel brano intitolato “Curiosità”, in cui si manifesta l’arguzia del poeta : A soun muntà ai puncèin d’in figu per mirè an cà d’in amigu (i mè oeugi i soun curiuxi d’mete u nasu an cà di spuxi) Ciù ‘i s’abràsu, ciù a’ sloungu ei colu… ‘a sparnisu in figu molu… Propi ant’ ei mumèintu boun Crach! us m’è rutu u ramoun ! Franco Resecco nel bel Ricordo di Colombo Gaione, pubblicato nel primo numero di Urbs del 1986, individua in alcune evocazioni liriche “la vera dimensione poetica” di Colombo Gaione. Nella stessa pagina è riprodotto il Ritratto del poeta Colombo Gaione, disegno a carboncino di cm. 75X54, firmato in basso a destra F. Resecco e datato 23/2/1971, donato dall’autore all’Accademia Urbense. Franco Resecco (Ovada 1920-2007) è stato un amico, un poeta e un artista che con le sue rime i suoi dipinti e i suoi disegni ha rispecchiato i sentimenti degli ovadesi che amano la loro città nei suoi colori e nel suo spirito. La sua ricerca artistica fu impegnata ad approfondire non solo problemi di colore ma anche problemi di forma, specialmente nei disegni il cui tratto chiaroscurale, nell’alternanza di luci e di ombre si presenta costruttivo e in alcuni ritratti, come nel nostro, soffuso di lirica delicatezza. Franco Resecco aveva imparato a “pensare con la matita in mano” e in ogni suo ritratto esprime un’anima e ritroviamo in esso ciò che Simmel chiama l’“unità di un volto”, cioè l’uniforme distribuzione della vivacità dei tratti, la sensazione del loro cooperare, il loro condizionamento reciproco.

Francesco Baratta ; Francesco Gandolfi ; Giuseppe Frascheri : Disegni

Inquadrati e disposti in due distinte cornici coeve, firmati e datati, sono tredici piccoli disegni di tre noti pittori liguri dell’800: uno di Francesco Baratta, cinque di Francesco Gandolfi e sette di Giuseppe Frascheri. Francesco Baratta (Genova 1805-1835) fu avviato agli studi artistici dal padre Carlo, pittore tradizionale. Per la sua formazione eminentemente accademica, rivolse i propri interessi estetici ai generi storico, mitologico e religioso. Fu direttore della scuola di pittura dell’ Accademia Ligustica. Dipinse molte opere di grandi dimensioni tra le quali: il grande sipario per il teatro Carlo Felice di Genova, raffigurante il Trionfo di Sileno, il quadro Guelfi e Ghibellini e il Beato Jacopo da Voragine della Cattedrale di San Lorenzo a Genova. Francesco Gandolfi (Chiavari 1824 - Genova 1873) ebbe i primi insegnamenti artistici in famiglia e poi all’Accademia Ligustica dove fu allievo del Baratta e del Ferrari. Nel 1840 si trasferì a Firenze alla scuola del Bezzuoli presso l’Accademia di Belle Arti. Tornato a Genova nel 1846 si dedicò alla pittura ad olio e all’affresco che gli procurarono una discreta fama e molto lavoro. Frequentò gli artisti innovatori della “Scuola grigia”, attiva dal 1860 al 1880; abile ritrattista, di lui si ricordano il ritratto del pittore Ernesto Rayper, della marchesa Staglieno e della madre Teresa Solari Gandolfi, che si distinguono per la sicura compostezza formale, efficaci effetti di luce e una valida penetrazione psicologica. Sue opere furono esposte nel 1911 alla Mostra del Ritratto Italiano a Firenze e nella mostra della pittura ligure dell’800 a Genova nel 1926. Suoi dipinti si trovano nella Pinacoteca dell’Accademia Ligustica di Genova e in altri musei italiani. Giuseppe Frascheri (Savona 1809- Sestri Ponente 1886) studiò all’Accademia Ligustica e dopo un breve soggiorno a Firenze, si recò in Francia e in Inghilterra per conoscere le nascenti correnti artistiche. Rientrò a Genova nel 1836 e nel 1839 fu nominato Accademico di Merito, ottenendo la cattedra di pittura dell’Accademia Ligustica della quale fu direttore dal 1842 al 1896. Le opere di soggetto storico e i ritratti di ispirazione romantica di Giuseppe Frascheri sono riconoscibili per i toni pacati e i colori chiari, animati da una poesia piena di malinconia. Considerato il migliore interprete della pittura romantica in Liguria, sposò Annetta Bracken, gentildonna inglese, e visse parte dei suoi anni a Londra con lei, ammirato e stimato artista. Il suo autoritratto è nella collezione degli Uffizi; il ritratto di Giuseppe Garibaldi del 1855 fu esposto alla Mostra del Ritratto Italiano nel 1911. Il disegno è, per Vasari, l’espressione sensibile, la proiezione dell’“idea originaria” del pittore. I disegni dei tre pittori liguri sono, quindi, tracce, tratti formali e figurativi, studi preparatori per dipinti compiuti e rivelano la peculiarità e lo stile degli autori.

Alberto Helios Gagliardo, Opere

Chiude la nostra selezione Alberto Helios Gagliardo (Genova 1893- 1987), illustre pittore e incisore ligure, con un nucleo di sei opere che fanno parte del cospicuo lascito di Natale Proto all’Accademia Urbense: Colombo avvista la terra, olio su tela di cm. 151x102 del 1951, Ritratto del pittore Natale Proto, olio su tela di cm: 95x70 del 1965, Gesù e i fanciulli olio su tela di cm. 60,5x65, Natura morta con ventaglio, olio su masonite di cm. 43,5x45,5, L’artista e la gloria” acquaforte di cm. 60x50 e Autoritratto col leoncino acquaforte di cm. 35x32,5. I quattro oli e le due incisioni furono presentati nella degna cornice della Loggia San Sebastiano, nella mostra A.H. Gagliardo Opere della collezione Proto, nei mesi di settembre e ottobre del 2003, e sono elencate e pubblicate in catalogo. Significativo è il quadro Colombo avvista la terra, pubblicato col titolo Colombo e la ciurma nella monografia di Alberto Helios Gagliardo curata da V. Rocchiero nel 1976 per l’Editrice Liguria Sabatelli. L’opera, tipica dell’arte di Gagliardo, è carica di quella forza evocativa e simbolica che diventa trasfigurazione immaginaria e metafora del navigatore avventuroso che non teme alcun pericolo. Alberto Helios Gagliardo fu un abile ritrattista al quale viene riconosciuta l’innegabile capacità nel definire e rivelare il carattere del soggetto. Del ritratto di Natale Proto del 1965, in una breve lettera da Genova il 12/gennaio/1964, Gagliardo scrive : «Caro Sig. Proto Il suo ritratto è ormai finito del tutto, firmato e verniciato. Vedo che piace quanto quello di mio nipote, che tanto successo ebbe. Il pittore Picollo, segretario del Sindacato artisti, l’altro giorno che fu da me, sembrava non poter staccare gli occhi dal quadro. Sai, mi disse, che quel ritratto mi ossessiona?» L’arte, strumento di comunicazione personale, ha il potere di riunire, riconciliare al di là di ogni fede o ideologia. L’arte è quindi una forza unificatrice che crea “relazioni” fra la ragione e il piacere, armonizzando, come ha scritto Schiller, “le leggi della ragione con gli interessi dei sensi”. La difesa e l’arricchimento del patrimonio artistico assumono così un nuovo valore, quello di una memoria che si fa punto di riferimento, fattore di creatività.