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Giacomo
Chiavari, amico oltre che cugino, un giorno mi portò un volumetto
rilegato in pelle - il diario della sua prozia Viola Pallavicino -
perché lo leggessi. "Dimmi cosa te ne pare".
L'ho letto, e "me ne pare", sì - tant'è che
oggi sono qui a dirvene il perché e il percome.
C'è diario e diario. C'è il diario intimista, sfogo
di chi vuole ragionare su se stesso, spiegarsi e mettersi a nudo come
sul lettino dell'analista - mi vengono in mente tanti diari simili,
quello della Woolf, della Mansfield, di Sylvia Plath, di Sofia Tolstoia,
e tanti altri di cui l'elenco sarebbe lungo e soprattutto mi metterebbe
fuori strada.
Le pagine che seguono sono il diario che Viola Pallavicino tenne nei
due ultimi anni di guerra, e precisamente dal maggio del 1944 all'aprile
del '45.
Anni passati insieme al marito Paolo alla Savoia, la tenuta di famiglia
nella frazione di Rocca, a San Giacomo, poco lontana da Ovada; la
casa esiste ancora, anche se è passata di mano; questo diario
è dunque una testimonianza, succinta ma diretta, di un periodo
che fu duro per tutti e di cui forse sono rimasti in pochi a ricordare.
Dico succinta perché Viola si limita ai fatti essenziali, (quello
del resto che nei miei diari faccio anch'io: piovuto, gran caldo,
andata a Genova, venuti i tali, andata dai tal'altri) il che comporta
un dare per scontato ogni riflessione o descrizione di luoghi e persone.
[...]
Camilla
Salvago Raggi