Biblioteca digitale

Memorie dell'Accademia Urbense


Davide Arecco, Scienza e storia dal Piemonte alla Liguria (secoli XVII-XIX), Accademia Urbense di Ovada, Associazione "Lettere e Arti" di Francavilla Bisio, Centro Studi "In Novitate" di Novi Ligure, Associazione culturale "Orizzonti Novi", (fuori collana), 2011, 96 pp
.

Scarica il libro in formato pdf (7,41 Mb)


Dalla Premessa:

Capitoli di storia della cultura, scientifico-tecnica e non soltanto. E' di questo che si compone
il libro che il lettore ha tra le mani. Quasi tasselli di un più grande mosaico, i saggi raccolti in questo volume concorrono a delineare una rappresentazione delle avventure intellettuali che maturarono dal Sei all'Ottocento, tra Piemonte e Liguria - in una particolare area geografica. Sono convinto - e sempre lo sarò, conoscendomi - che la micro-storia di un territorio possa venire realmente studiata e approfondita solo in relazione al più ampio contesto circostante. La storia sociale della scienza entro una data area spazio-temporale, in tale senso, può essere intesa appieno esclusivamente riportando la allo scenario nazionale ed ai quadri di sviluppo europei. Il piccolo, anche nella crescita di scienze e tecniche, si conosce solo in rapporto al grande. E' quest'ultimo che lo illumina e - sovente, se non quasi sempre - ne pone le condizioni istituzionali di crescita o di affrancamento. Anche per gli echi piemontesi e liguri della cosiddetta Rivoluzione scientifica e dell'Illuminismo è stato così. Identità locale e successiva affermazione a livello italiano o continentale non necessariamente si escludono a vicenda; talvolta possono andare insieme sovrapponendosi oppure autoalimentandosi. Due esempi su tutti. Nel XVI secolo fu attivo il novese Lorenzo Capelloni, storico e scrittore politico di qualche valore; si mosse, appena prima di Botero, tra machiavellismo e ragion di Stato raccontando in modo comunque brioso la vita genovese cinquecentesca e consumando esperienze vicine, nella sensibilità etica, a quelle platonizzanti e filo-galileiane del senese Francesco Piccolomini. Il 14 aprile del 1719, a Torino, nacque Giuseppe Baretti: diventò grande con la traduzione di Comeille, con la sua «Frusta letteraria», con gli scritti inglesi e soprattutto il Discours sur Shakespeare et Voltaire; ma non volle mai scordare le radici familiari e il paese dei suoi padri: Rivalta Bormida; grazie ad una produzione letteraria multiforme - rime, estetica musicale, melodramma - Baretti incontrò una certa fortuna, in Piemonte e a Genova, dimostrando, come osservò Salvatore Rotta, di sapersi ogni volta confrontare energicamente con i migliori ingegni del suo tempo.
Immagini variegate e composite, veri e propri medaglioni si susseguono nelle pagine di questa mia silloge. Nelle pagine che la compongono parlo col distacco di chi vuoi ri(scoprire) e informare, senza condizionamenti, né timidezze di sorta. Scegliere poi il Piemonte e la Liguria quali terreni di indagine per esplorare e far comprendere la secolare vicenda della cultura scientifica in Italia è in sé
un atto considerevole, credo, di coraggio. Infatti, da sempre terra di confine e di Europa, prima che la scienza e la tecnica vi albeggiassero, il Piemonte ebbe, più ancora della Serenissima Repubblica di Genova, i tratti tipici d'una regione a vocazione nazionale, italiana, ma, al tempo stesso, conservò quei tratti specifici che lo resero diverso, per sempre, dalla generalità delle altre aree, comprese nei
confini dell'Italia propriamente detta. Questo volume riscopre tali aspetti, guardando in particolare ai destini di personaggi grandi e piccoli, il cui itinerario è stato scelto anche in quanto esemplare e paradigmatico di un percorso comune pure ad altri meno noti. Penso a figure come Gregorio Leti il primo residente italiano in Inghilterra a venire aggregato alla Royal Society - o ancora al medico acquese Giovanni Della Torre (tra i pochi fisiologi del XVII secolo a dissentire da William Harvey, allora un autentico punto di riferimento per la nuova scienza anatomica) o a Pierre-Simon Rouhault, il quale ebbe la coerenza di rimanere cartesiano anche quando le più recenti frontiere della filosofia naturale portavano oramai le insegne del newtonianesimo. Oppure, penso a coloro che entrarono in contatto con il mondo dei savants piemontesi (da Lodovico Antonio Muratori a Antonio Vallisneri, a Scipione Maffei) o con la realtà ligure dei Lomellini (Francesco Algarotti, Giovanni Gualberto De Soria). Né dimentico chi dal Piemonte dovette fuggire (il conte Radicati di Passerano, primo deista della nostra penisola), chi lo difese dall'invasore (l'ingegnere tortonese Ignazio Bertola), chi per un breve periodo vi studiò (il giovane astronomo Giuseppe Piazzi), chi vi fece carriera accademica (il matematico piacentino Angelo Genocchi) o chi vi transitò per una fugace sosta, travolto dagli eventi e forse dalla propria hybris (Cagliostro). Questo libro tratta di tutti loro, delle loro idee, in relazione al rapporto che ebbero con gli uomini e gli Stati del Nord-Ovest italiano, dal Seicento sino all'epoca risorgimentale. Viaggi, spostamenti, legami occasionali o duraturi, successi e sfortuna, iniziative ed opere a stampa, vicende e vicissitudini familiari: di questo ho scelto di narrare, senza comunque mai abdicare alla giusta severità di una ricostruzione storiografica a trecentosessanta gradi e sempre con un respiro e uno sguardo sovra-nazionali, Le dramatis personae di cui si discorre in questo libro, in effetti, furono tutte - chi più, chi meno - cosmopolite, per vocazione o per scelte forzate dovute alla sorte, appartenendo così a pieno diritto alla Respublica scientiarum di età moderna. Per loro, sia il Piemonte sia la Liguria furono di volta in volta luogo di residenza, meta, tappa obbligata o spazio di transito all'interno di una peregrinatio academica (e di vita) talora senza posa. Il richiamo voluto e inevitabile al dato locale si inscrive pertanto costantemente in una più vasta rete di dinamiche, che a loro volta necessitano di un lavoro di scavo rigoroso e problematizzante. Del resto, il vero storico o
è problematico o non è.
Un libro, come sempre, deve molto a molti. Ringrazio, in maniera particolare, Alberto Seniscelli, Roberto Senso, Dario Generali, Alessandro Laguzzi, Alessandro Lantero, Ida Li Vigni, Luca Lo Sasso, Vincenzo Ferrone, Carlo Maccagni, Lauro Magnani, Quinto Marini, Oscar Meo, Marina Montesano, Sandra Origone, Federica Petraccia, Renzo Piccinini, Renzo Repetti, Paolo Aldo Rossi, Giuseppe Sertoli, Roberto Sinigaglia, Francesco Surdich e gli amici tutti del gruppo di «Lettere e Arti». Molti spunti e diverse considerazioni sono il frutto di incontri e colloqui, protratti per anni, con l'amico di sempre Andrea Sisti. Questi saggi sono dedicati a lui, a mia madre ed a mia sorella, ma altresì alla memoria di Cesare Simonassi e di Egidio Mascherini, anime e fondatori del Centro Studi «In Novitate», rispettivamente nei dieci e nei quindici anni dalla scomparsa. Grazie di cuore, infine, a Osvaldo Repetti ed a Vanda Simonassi, senza i quali le pagine che seguono non avrebbero visto la luce. A Mara, che ha visto nascere questo libro, devo la paziente e capillare correzione del dattiloscritto. Grazie, infine, a Guido ed alle persone come lui, che mi sono state e mi sono vicine, per tutto il resto. Hanno reso e rendono la mia vita migliore.


Asti, solstizio d'inverno MMX.
L'autore