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Memorie dell'Accademia Urbense

Mario Canepa, Ritratti. Leo Pola fotografo, Memorie dell'Accademia Urbense (nuova serie) n. 66, Ovada 2006, 160 pp.

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CONTRO QUEL MURO
Qualcosa bisognerà pur scrivere ora che ho finito, ora che ho sistemato l’ultima foto. Ci siamo guardati in faccia per mesi, io qui coi negativi e loro sempre là contro quel muro, davanti a Leo che neanche gli diceva di sorridere. Ma cosa scrivere? Penso al titolo di un libro di Pontiggia Vite di uomini non illustri, magari potrei… No, meglio di no, non ho altre storie da raccontare, mi dico per convincermi a tagliar corto. E poi, i più non so neanche chi siano. Forse ci siamo sfiorati, ma non ricordo né dove né quando. Ora ci conosciamo, ma solo di vista. Ci frequentiamo: li sposto, li cambio di pagina, questo va qui, questo invece… Qualcuno poi ritornerà nell’ombra, forse per sempre... Mi spiace, come perdere un amico.
Li guardo: non c’è allegria, neanche finzione. E’ tutto naturale, una normalità che ti spiazza e ti confonde. Non siamo più abituati, abbiamo perso lo sguardo innocente, la televisione ci ha fregati… Ora solo effetti speciali e superlativi assoluti. Tutto al massimo.
Qui nessuno finge, niente trucchi, ognuno si porta dietro la vita di tutti i giorni, non sembra neanche festa: ognuno è quello che è davanti a quel muro. Hanno mani callose e gesti semplici, impacciati, una mal celata timidezza… Pare di sentire le loro voci. Fissano l’obiettivo senza vedere, hanno altri pensieri. Rivedo la stessa espressione dei personaggi dipinti da Hopper, sorpresi nei bar o in disadorne camere d’albergo. Sguardi persidi chi vorrebbe essere da un’altra parte.
“Di studio non ne ho mai avuto io. Facevo le tessere ma le facevo fuori. Fuori contro un muro… basta che ci fosse lo sfondo bianco. Ma senza ritocco, senza niente li facevo io, capisce? Quindi venivano naturali, com’erano”. Questo è Leo che parla, breve stralcio da un’intervista rilasciata a Sergio Novelli e pubblicata dall’Istituto per la Storia della Resistenza nell’82.
Se lo cercavi Leo lo trovavi dove finisce Ovada: dopo via Roma pigliavi la scalinata e lui era lì. Trattoria della Pace, diceva la scritta in alto e quel signore col grembiule appoggiato alla balaustra a guardare chi scendeva dalla littorina e attraversava la piazza o chi faceva benzina per poi imboccare il ponte con la premura di andare, era lui, Leo Pola il fotografo.
Leo me lo immagino mentre accarezza la macchina fotografica e sistema le sue cose nell’ora morta tra il pranzo e la cena o la sera sul tardi, quando gli ultimi hanno dato la buonanotte e le sedie sono state rivoltate sui tavoli intanto che si asciuga il pavimento. Anche oggi è andata, pensa togliendosi il grembiule.
E’ per la tessera?, chiedeva. Se dicevi di sì Leo, senza parlare, ti indicava il muro appena fuori della trattoria e dipendeva poi da te il trovare un motivo per sorridere.
Le fototessere hanno la faccia triste della burocrazia. Le fai perché le devi fare, ma non c’è gusto. Sai già la fine che faranno: un timbro, carte in bollo, pile di pratiche inevase… Andranno ad appassire in portafogli sgualciti e prenderanno l’odore dei soldi e dei conti da saldare.
Se invece volevi qualcosa di speciale era meglio andare lontano dai pasti, quando si era tolto il grembiule e aveva più tempo da dedicarti. Anduma lä che le meiu, diceva col braccio teso a segnare dietro la stazionetta, dove lo sfondo già alludeva, i fiumi che si incontrano: l’Orba e lo Stura, dopo tanto correre a cercarsi, finalmente si abbracciano per continuare insieme e… Per chi voleva capire, ce n’era d’avanzo.
Per la fototessera quel muro bastava, lì contro ti sentivi già colpevole prima ancora di avere commesso il fatto. Era poi inutile dire: le assicuro che sono meglio di quello che sembro, dovrebbe conoscermi, frequentiamoci e vedrà che… Parole al vento, non c’è niente da fare: sei quello che sei, tale e quale. Resti per sempre quello della fotografia per colpa del muro, dell’arrosto nel forno, dell’acqua sul fuoco, del sole che non è mai quello giusto, del se venivi prima veniva meglio… e per colpa di quello che sta sulla porta mezzo dentro e mezzo fuori, gli mette premura e senti Leo che dice: aura a mandu veia quelchì e a vegnu.

Mario Canepa