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Dalla
Premessa a pag. 11:
L’idea
di questo libro è nata all’inizio degli anni novanta
quando dai cassetti degli Orsaresi sono emerse fotografie e memorie
che mi hanno permesso di allestire la prima delle mie mostre fotografiche:
da allora la ricerca è continuata e con la collaborazione di
tutti e l’impegno condiviso con gli amici Egidia Pastorino e
Gigi Vacca il progetto del libro si è finalmente materializzato.
Le fotografie, i documenti e le memorie si riferiscono ad un arco
di tempo che va dalla seconda metà del 1800 ed arriva agli
anni ’60: sono quasi “a memoria d’uomo”. Qualche
personaggio o vicenda di cui si parla non sono stati conosciuti direttamente
dagli autori che, però, ne hanno sentito favoleggiare da genitori
o nonni.
E’ stata rievocata un’Orsara arcaica, dalle strade selciate
o polverose percorse dai carri trainati dai buoi, dalle afose giornate
e dalle interminabili notti in cui la quiete era rotta soltanto dallo
stridere delle cicale e dal verso ossessivo dei grilli, dai lunghi
inverni ovattati e silenziosi in cui solo i camini fumanti evocavano
la vita; un’Orsara che si vestiva a festa nelle ricorrenze religiose
ma che conosceva soprattutto il lavoro solitario dei campi non sempre
ripagato da un adeguato raccolto. I figli erano tanti e le donne,
pur votate alla cura della famiglia, aiutavano gli uomini nei lavori
agricoli ed invecchiavano precocemente, come, d’altronde, i
loro mariti che spesso dovevano lasciare le loro terre per andare
a combattere in qualche guerra.
Raccontiamo un’Orsara che è viva soltanto nella memoria
di pochi. Eppure in quell’Orsara che oggi appare oleografica
come una cartolina sbiadita, tante vite si sono consumate. Alcuni,
non offrendo la terra sufficiente sostentamento, sono stati costretti
ad emigrare, lasciando famiglia ed affetti e il più delle volte,
quando si sono spinti fino alle Americhe, non sono più tornati.
Forse a molti è difficile credere che i nostri possano essere
accomunati a quelle masse di uomini privi di speranza che arrivano
in Europa a cercare una prospettiva di vita, eppure l’emigrazione
è stata una dolorosa risorsa di tanti italiani poveri. L’emigrazione
di massa degli italiani iniziò intorno al 1870 ed ogni anno
erano più di centomila a lasciare il proprio paese: gli Orsaresi
si orientarono per lo più verso l’Argentina, qualcuno
verso gli Stati Uniti.
Talora hanno fatto fortuna, ma in tutti è rimasto vivo il ricordo
e la nostalgia della loro terra. So di certuni che hanno continuato
a parlare il dialetto in famiglia per cui ci sono dei giovani argentini
che ignorano l’italiano ma parlano l’orsarese. A queste
persone abbiamo pensato scrivendo, a chi non c’è più
e a chi è sopravvissuto e vuole ricordare un mondo amato e
perduto. E abbiamo pensato anche a coloro che conoscono il mondo soltanto
attraverso un magico schermo che omologa culture e civiltà:
vorremmo contribuire a farli prendere coscienza delle proprie radici
perché, proprio in un periodo come quello in cui viviamo, che
ci vede proiettati in una dimensione europea, è più
importante che mai conservare la propria identità: anche una
cultura contadina come la nostra, ha una sua dignità nel contesto
di tutte le altre culture.
Qualcuno, sedotto dal progresso e dagli agi che esso ha comportato,
potrebbe pensare che un passato di indigenza e sofferenze sia qualcosa
da rimuovere e da dimenticare. Sarebbe un grave errore, oltre che
una manchevolezza nei confronti di chi ci ha preceduto perché
– e prendo a prestito il titolo di un libro di Carlo Levi del
1956 - “il futuro ha un cuore antico”!
Elisabetta Farinetti