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Dalla presentazione a pag. VII:
Oggi
più che mai conservare ed alimentare la propria memoria storica
rappresenta un nostro preciso dovere e al tempo stesso un diritto
inalienabile di un popolo.
Continuare ad alimentare la memoria collettiva attraverso la ricerca
storiografica e la raccolta delle voci dei protagonisti della lunga
stagione resistenziale, rappresenta un contributo importante affinché
tutto non svanisca e le giovani generazioni possano far tesoro degli
errori del passato e non si ripetano più le scene di morte
e di dolore dei venti mesi di guerra dall’8 settembre ’43
al 25 aprile ’45.
Come ha giustamente scritto Remo Bodei, “l’identità
collettiva di un popolo si forma anche attraverso il dimenticare”
e quindi “ anche ciò che dimentichiamo plasma l’identità
collettiva di una nazione”.
E una generazione, una nazione, che non abbia una forte memoria storica
collettiva è destinata ad avere paura del futuro, timore di
quello che verrà e diventa quindi più esposta ai rischi
di vecchi e nuovi totalitarismi.
Proprio per queste ragioni l’aver recentemente condannato all’ergastolo
per l’eccidio della Benedicta ed altri fatti di sangue Friedrich
Engel, un uomo di 92 anni, e averne richiesto l’estradizione,
non è una vendetta postuma di chi vuol alimentare odio, ma
uno straordinario atto di giustizia, che suona a monito contro i criminali
di guerra di ieri come quelli di oggi, una sentenza che ha un grande
significato civile ed etico, prima ancora che politico e giudiziale.
La ricerca sul movimento resistenziale, ormai depurata da ogni scoria
ideologica, testimonia che ad oltre cinquant’anni questa nazione
non dimentica i suoi morti, non relega nell’oblio coloro che
hanno combattuto affinché in questo Paese potessero affermarsi
la libertà e la democrazia.
Tutt’altra cosa dal tentativo in atto da tempo di chi vorrebbe
ribaltare il giudizio della storia mettendo sullo stesso piano morale
i volontari della Repubblica di Salò e i partigiani.
A questi tentativi, che potrebbero sfruttare anche una certa temperie
culturale e politica che sembrerebbe voler privilegiare la riconciliazione,
la cancellazione della memoria al riconoscimento della Resistenza
come momento fondativo dell’Italia Repubblicana,occorre dare
una risposta alta quanto netta continuando ad alimentare la memoria
storica senza timori di presentare la realtà composita della
Resistenza, con le sue contraddizioni, le tensioni politiche ed anche
con i suoi umani errori.
Nel lavoro di Andrea Barba non c’è nessuna concessione
alla retorica, ma una puntuale e serena ricostruzione delle radici
sociali ed economiche della Resistenza Alessandrina e di quella della
Valle dell’Orba in particolare. Vi troviamo anche la conferma
che i partigiani furono in grado di resistere sulle montagne nei duri
inverni del ’43 e del ’44 proprio perché il movimento
resistenziale era radicato sul territorio, accettato ed aiutato dai
montanari così come dalla gente di pianura.
Le pagine dedicate all’eccidio della Benedicta (aprile ’44)
e del rastrellamento di Olbicella-Piancastagna (ottobre ’44)
aiutano a tener viva la memoria di quei drammatici momenti e della
cieca violenza dell’occupante esercito nazista e del suoi alleati
fascisti.
I veleni di un revisionismo d’accatto sono oggi ancor più
pericolosi di ieri perché grazie all’inesorabile scorrere
del tempo con la scomparsa dei protagonisti di quei giorni, possono
ingenerare nelle nuove generazioni l’idea che la Resistenza
e la lotta di Liberazione siano state un momento di guerra come tanti,
una guerra in cui non sono più distinguibili, ad oltre cinquant’anni
di distanza, i confini che
dividevano gli oppressi dagli oppressori e le vittime dai carnefici.
La ricerca storica diventa così fondamentale per ricordare,
ai giovani di oggi, che in quei venti mesi c’era una divisione
netta tra vittime e carnefici e c’erano, tra gli italiani, quelli
che combattevano a fianco dei tedeschi partecipando agli eccidi e
alle stragi di vecchi e bambini e quelli, i nostri partigiani, che
lottavano a fianco degli alleati per cancellare dalla faccia della
terra il mostro del nazismo hitleriano.
Questa verità storica non può e non deve essere cancellata.
Un Paese senza memoria storica è destinato a non avere futuro.
Federico Fornaro
Presidente dell’Istituto per la Storia della Resistenza e
della Società Contemporanea in provincia di Alessandria