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Memorie dell'Accademia Urbense


Andrea Barba, Il Capitano Mingo e la Resistenza nella Valle dell'Orba, Memorie dell'Accademia Urbense (nuova serie) n. 47, Ovada 2001, 146 pp.

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Dalla presentazione a pag. VII:

Oggi più che mai conservare ed alimentare la propria memoria storica rappresenta un nostro preciso dovere e al tempo stesso un diritto inalienabile di un popolo.
Continuare ad alimentare la memoria collettiva attraverso la ricerca storiografica e la raccolta delle voci dei protagonisti della lunga stagione resistenziale, rappresenta un contributo importante affinché tutto non svanisca e le giovani generazioni possano far tesoro degli errori del passato e non si ripetano più le scene di morte e di dolore dei venti mesi di guerra dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ’45.
Come ha giustamente scritto Remo Bodei, “l’identità collettiva di un popolo si forma anche attraverso il dimenticare” e quindi “ anche ciò che dimentichiamo plasma l’identità collettiva di una nazione”.
E una generazione, una nazione, che non abbia una forte memoria storica collettiva è destinata ad avere paura del futuro, timore di quello che verrà e diventa quindi più esposta ai rischi di vecchi e nuovi totalitarismi.
Proprio per queste ragioni l’aver recentemente condannato all’ergastolo per l’eccidio della Benedicta ed altri fatti di sangue Friedrich Engel, un uomo di 92 anni, e averne richiesto l’estradizione, non è una vendetta postuma di chi vuol alimentare odio, ma uno straordinario atto di giustizia, che suona a monito contro i criminali di guerra di ieri come quelli di oggi, una sentenza che ha un grande significato civile ed etico, prima ancora che politico e giudiziale. La ricerca sul movimento resistenziale, ormai depurata da ogni scoria ideologica, testimonia che ad oltre cinquant’anni questa nazione non dimentica i suoi morti, non relega nell’oblio coloro che hanno combattuto affinché in questo Paese potessero affermarsi la libertà e la democrazia.
Tutt’altra cosa dal tentativo in atto da tempo di chi vorrebbe ribaltare il giudizio della storia mettendo sullo stesso piano morale i volontari della Repubblica di Salò e i partigiani.
A questi tentativi, che potrebbero sfruttare anche una certa temperie culturale e politica che sembrerebbe voler privilegiare la riconciliazione, la cancellazione della memoria al riconoscimento della Resistenza come momento fondativo dell’Italia Repubblicana,occorre dare una risposta alta quanto netta continuando ad alimentare la memoria storica senza timori di presentare la realtà composita della Resistenza, con le sue contraddizioni, le tensioni politiche ed anche con i suoi umani errori.
Nel lavoro di Andrea Barba non c’è nessuna concessione alla retorica, ma una puntuale e serena ricostruzione delle radici sociali ed economiche della Resistenza Alessandrina e di quella della Valle dell’Orba in particolare. Vi troviamo anche la conferma che i partigiani furono in grado di resistere sulle montagne nei duri inverni del ’43 e del ’44 proprio perché il movimento resistenziale era radicato sul territorio, accettato ed aiutato dai montanari così come dalla gente di pianura.
Le pagine dedicate all’eccidio della Benedicta (aprile ’44) e del rastrellamento di Olbicella-Piancastagna (ottobre ’44) aiutano a tener viva la memoria di quei drammatici momenti e della cieca violenza dell’occupante esercito nazista e del suoi alleati fascisti.
I veleni di un revisionismo d’accatto sono oggi ancor più pericolosi di ieri perché grazie all’inesorabile scorrere del tempo con la scomparsa dei protagonisti di quei giorni, possono ingenerare nelle nuove generazioni l’idea che la Resistenza e la lotta di Liberazione siano state un momento di guerra come tanti, una guerra in cui non sono più distinguibili, ad oltre cinquant’anni di distanza, i confini che
dividevano gli oppressi dagli oppressori e le vittime dai carnefici.
La ricerca storica diventa così fondamentale per ricordare, ai giovani di oggi, che in quei venti mesi c’era una divisione netta tra vittime e carnefici e c’erano, tra gli italiani, quelli che combattevano a fianco dei tedeschi partecipando agli eccidi e alle stragi di vecchi e bambini e quelli, i nostri partigiani, che lottavano a fianco degli alleati per cancellare dalla faccia della terra il mostro del nazismo hitleriano.
Questa verità storica non può e non deve essere cancellata.
Un Paese senza memoria storica è destinato a non avere futuro.


Federico Fornaro
Presidente dell’Istituto per la Storia della Resistenza e
della Società Contemporanea in provincia di Alessandria