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Quando, sul finire del 1989, prospettavo agli amici Paolo Bavazzano
e Giacomo Gastaldo l'idea di riprendere le pubblicazioni delle «Memorie
dell'Accademia Urbense», non immaginavo di certo che l'avvio
di questa collana sarebbe stato così rapido e che, nell'arco
di un solo anno, avremmo potuto pubblicare ben tre titoli.
L'autore di questo studio, che ora consegnamo alle stampe, non ha
certamente bisogno di alcuna presentazione presso i nostri lettori.
Già alcuni anni fa scriveva di Lui Emilio Costa: «I due
volumi di Emilio Podestà su Mornese, hanno recato un contributo
di notevole rilevanza nell'ambito della storiografia ligure che focalizza
le proprie ricerche su una interessante plaga dell'Oltregiogo. Si
tratta di lavori basati su assidue ricognizioni archivistiche che
vitalizzano filoni di studio fino a pochi anni addietro scarsamente
frequentati».
Oggi, che anche un terzo volume è stato pubblicato, e la storia
di Mornese è completata, dall'approfondimento di una delle
mille vicende che formano la trama di questa sua ricerca appassionata,
nascè il nostro libro.
Nel 1570, Mornese si ribella alle angherie dei bravi di Ugo Doria,
signore del paese, e ne fa strage. L'episodio, dal quale emerge il
più generale clima di violenza, imperante in quegli anni, e
il fiorire del banditismo, fenomeno particolarmente virulento in zone
di confine, come era a quel tempo la nostra, lo invoglia a successivi
approfondimenti. Dalla piccola alla grande storia. Nell'Oltregiogo
durante la seconda metà del sec. XVI è il primo
contributo su questo tema, oggetto di una sua comunicazione al «Convegno
internazionale di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della
Repubblica di Genova», nel 1988.
Ma, scattata la molla dell'interesse, l'abilità del ricercatore
continua a disseppellire dagli archivi un materiale sempre più
vasto e interessante che ha finito poi per coagularsi nelle vicende
che questo libro viene narrando.
Da queste pagine, il quadro del Cinquecento come secolo di «ferro»,
nel quale la violenza è più la regola che l'eccezione,
viene confermato. Ma asteniamoci dall'identificare i «banditi»,
ovvero i colpiti da bando, della nostra vicenda con i delinquenti
contemporanei che vivono in un «mondo di valori rovesciati».
La loro posizione, come provano i saldi legami che avevano con le
popolazioni, è in larga misura interna alla struttura delle
comunità locali, essi - come afferma Osvaldo Raggio in Faide
e Parente, un accurato studio del fenomeno condotto, per gli
stessi anni, sulla Valle della Fontanabuona - giocando un ruolo non
secondario nelle strategie che le varie «parentelle» mettono
in atto per la supremazia, fanno parte a pieno titolo della dinamica
sociale del tempo.
In quest'ottica non ci stupisce più scoprire che molti «banditi»
non sono illetterati e comprendiamo come le richieste dei «commissari»,
rivolte ai parenti dei latitanti di dare «sigurtà»,
con esborsi anche notevoli, erano tutt'altro che gratuite angherie.
Fatta questa premessa, come curatore, non mi resta che ringraziare
l'Autore che ha voluto pubblicare questo suo lavoro nella nostra collana,
e augurare a Lui e a noi che questo libro incontri lo stesso successo,
se non maggiore, di quelli già pubblicati.
Da ultimo, ma la cosa non è meno importante, voglio ricordare
che senza la generosità della Cassa di Risparmio di Torino
e l'interessamento degli Assessori alla Cultura Giuliano Ferrini di
Ovada e Cristino Martini di Rossiglione questa pubblicazione non avrebbe
potuto aver luogo.
Ovada, Settembre 1990
Alessandro Laguzzi